Educazione libertaria

Educazione libertaria

Ciascuno cresce solo se sognato

C’è chi insegna

guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

 

Danilo Dolci

 

Cari compagni bilancisti,

partiamo per questo altro capitolo del percorso: un’educazione per la libertà.

Mi rendo conto che lo faccio -forse- “vostro malgrado”: nel senso che è una rubrica che ho un po’ “imposto”; se ne era vociferato nello scorso Incontro Annualee il tema è presente da sempre nel cammino di Bilanci di Giustizia; ho proposto e la segreteria ha accolto la cosa. Ora mi ritrovo a scriverci e lo faccio volentieri. Non so che cosa ne possiate pensare o se mai ci buttiate un colpo d’occhio; d’altronde di pedagogia non ne so nulla (ancora) e sono solo un cercatore. Mi piacerebbe -e il sogno era questo- potesse diventare un percorso condivisoe partecipato, ma sappiamo che non è facile lavorare in rete e i temi sono infiniti, i nostri impegni di famiglie e di comunità anche, per non parlare delle nostre energie. Come dice Levinas “il fatto essenziale dell’espressione consiste nel portare testimonianza di sé garantendo questa testimonianza”: quindi proseguo garantendo il mio servizio.

I soggetti e i motori di questo nostro percorso sono i nostri ragazzi, i vostri figli, noi che siamo la “seconda generazione” bilancista: il campo di ricerca e azione, i fuoriRotta.

E ora un apiccola nota autobiografica prima di passare alla figura di un nuovo pedagogista: il tema di un aformazione liberi la dignità umana, la creatività, la partecipazione e il servizio è per me quanto mai sensibile. Ho sofferto in prima persona all’interno di un’università troppo sbilanciata verso l’asservimento nel prepararci a una professione “sistemica”, svuotata del senso dell’alterità, di compromissione e gratuità. I tempi cambiano…o meglio: dovremmo aiutarli a cambiare. Di fronte alla situazione attuale -e bisogna imparare a saperla leggere- una professione come quella di mio padre non puo’ piu’ calzare: di fronte ala sfida della transizione reale della decrescita…con tuto cio’ che ne consegue, immettere discontinuità e programmare insieme il cambiamento lento…la transizione appunto. E cosi’ introduciamo la figura di Danilo Dolci, lui stesso fuoriuscito in anticipo da una facoltà di architettura per proseguire come pedagogista e formatore.

 

Pedagogia maieutica: Danilo Dolci, seminar domande.

Se problema centrale dell’educare è che le creature crescano tali, due condizioni essenzialmente necessitano: la creatura veramente desideri imparare e scoprire; l’ambiente ( e in particolare l’educatore) sappia partecipare, coi metodi dell’apprendimento autentico e il meglio di quanto il mondo ha finora acquisito, i desiderio della ricerca creativa. La mera trasmissione sorvegliante non basta, opprime, come ampiamente dimostrato in ogni parte del mondo. Risolvere i problemi dell’esprimersi-comunicare è condizione sine qua non affinché ognuno cresca centro di cultura, di coscienza: centro cioè di relazioni al contempo critiche e creative. Nell’attuale sistema l’immane spreco di energie sofferenti è la conseguenza del tentativo di domare già da bambini e giovani gli imminenti sudditi. Le creature tenere recalcitrano, al morso, alle briglie, ai  paraocchi. La struttura imposta non favorisce il naturale desiderio di crescere apprendendo: “mira ad assicurare il funzionamento normale della vita sociale”. Funzionamento normale sovente significa, tra screpolature e aperture provocate dai sommovimenti, secondo la cultura del dominio. […]

Se non vuole finire nello spontaneismo protestatorio, il necessario rovesciamento implica, come altrove precisato, la capacità di individuare e realizzare le condizioni della struttura creativa. […]

Altro è imparare a eseguire i compiti e i problemi che i capi ci assegnano, e altro diventare creativi. I rapporti veramente valorizzati (chi decide cosa è necessario?) possono essere concepiti solo nell’intima partecipazione di ognuno, non possono essere concepiti senza la sofferta invenzione poetica di ognuno. E la struttura creativa favorisce, pur conflittualmente, relazioni sinergiche. […] La creatività si manifesta, si’, anche in piani e programmazioni ma, nel suo sorgere, non si puo’ predisegnare. E’ una condizione per esistere -che via via nell’irrobustirsi del suo respiro, apprende a intuire e concretare nuove relazioni, nuove possibilità: e, appunto, opportuni programmi. Troppi credono di non poter comunicare senza dande, senza briglie e paraocchi. Talora “l’atteggiamento passivo di un’enorme massa di cittadini” non solo frena il crescere ma invita, suscita, inventa i suoi despoti. […] In alcun modo puo’ fiorire robusta pace ove non cresca ampia la creatività di ciascuno. Impedire la crescita endogena delle creature, soprattutto se giovani, infanti, è una delle piu’ diffuse violenzee micidiali, per l’immenso effetto stagnante su tutto il nostro futuro e sul futuro delle generazioni venture. […] La cultura non serve se non è viva, dunque autopropulsiva e comunicante.  In un mondo sempre piu’ massificato ove si campa rinchiusi, frammentati, come conseguire l’aprirsi di ognuno all’ancora misterioso comunicare per connettersi in struttura viva alimentando -oltre vecchi modelli e schemi ormai insufficienti- una nuova visione del mondo? [da Dal trasmettere al comunicare, 1988]

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