Ottobre 2002

Ottobre 2002

BILANCI DI GIUSTIZIA

LETTERA DI INFORMAZIONE TRA GLI ADERENTI ALLA CAMPAGNA BILANCI DI GIUSTIZIA

N° 71 – OTTOBRE 2002

PER NON ESSERE COMPLICI

no a questa guerra

 Dopo l’appello che abbiamo pubblicato nella lettera di settembre vogliamo continuare a  costruire la campagna “Per non essere complici”.

Tutti possono contribuire segnalando  le aziende e le banche che trarranno beneficio dalla guerra.

Abbiamo già contattato Alberto Castagnola, Giuliana Martirani, Giulio Marcon, Franco Gesualdi e Altreconomia. Tutti sono interessati al nostro appello,  sono disponibili a collaborare con noi e ci hanno dato dei suggerimenti su come iniziare il lavoro.

Per dare vita a questa azione nonviolenta  abbiamo bisogno di  formare un gruppo di lavoro,  chi è disponibile a lavorare su questa campagna  scriva o telefoni in segreteria.

Altri appelli e campagne si possono trovare sul sito della Rete Lilliput (www.retelilliput.org).

Spunti dall’incontro nazionale

Dalle tre ricche giornate dell’incontro annuale volevamo iniziare a proporvi alcune riflessioni. Ecco le tre proposte :

ð    un contributo di Antonella Valer che verrà pubblicato su Cooperazione tra Consumatori di ottobre in cui si propone una sintesi/commento dell’incontro nazionale,

ð    la traccia del laboratorio sulla politica di Luca Gaggioli,

ð    l’intervento di Francesco Terreri per iniziare a riflettere sul nuovo tema “A quali condizioni la finanza è davvero etica?”.

Sul tema della finanza vogliamo segnalare anche l’editoriale di Altreconomia di giugno scritto da Terreri che è disponibile anche nell’archivio sul sito del giornale.

 CANTIERI DI BENESSERE, CANTIERI DI GIUSTIZIA

Negli stessi giorni del vertice di Johannesburg le famiglie di Bilanci di Giustizia si sono incontrate per riflettere e ed elaborare strategie concrete di cambiamento. Dall’alimentazione, al lavoro alla finanza. In un clima di festa e di condivisione.

Mentre a Johannesburg i grandi della Terra erano riuniti per discutere sui problemi ambientali che riguardano l’intero pianeta – peraltro con risultati poveri e discutibili – qualche centinaio di persone, per lo più famiglie giovani, aderenti alla campagna Bilanci di Giustizia, si sono riunite a Colle don Bosco (Torino) per riflettere sulla sostenibilità dei propri stili di vita.

Non si è trattato di un convegno cattedratico ed elitario, in cui pochi relatori hanno elargito conoscenza e analisi, ma di un vero e proprio cantiere di lavoro in cui le (molte) competenze presenti sono state condivise in uno spirito di gratuità e di gioia. I quasi 20 laboratori diversi realizzati sono il segno tangibile di questa operosità.

Più difficile descrivere invece il clima che si respirava. L’unico momento in cui il silenzio ha prevalso è stato durante la celebrazione ecumenica della Creazione, proposta a livello europeo dalle chiese ortodosse e segno di riconciliazione, in cui si è celebrato l’elemento acqua, cantando, ballando e riflettendo sul significato dell’averla (in dono), inquinarla, sprecarla, risparmiarla. Per tutto il resto del tempo la musica di sottofondo era suonata dal vociare allegro (e talvolta il pianto) dei numerosissimi bambini (davvero tanti!) presenti, anche loro impegnati in laboratori di autocostruzione di giocattoli con materiali di recupero, giochi di simulazione per avvicinarsi all’economia, merende a base di torte fatte in casa… “Nel complesso un clima davvero bello: amichevole e accogliente” racconta Michela, una dei 9 trentini presenti all’incontro. “Un clima in cui si può riflettere e discutere in profondità”, suggeriscono altri partecipanti, “in cui si percepisce la responsabilità di ciascuno verso la propria vita e verso i progetti comuni”. Senza il rischio dell’omologazione, come testimonia la diversità di posizioni e di punti di vista durante i momenti di dibattito.

Quello che ha caratterizzato questi “cantieri di benessere e di giustizia” sono stati però gli strumenti di lavoro utilizzati. Durante l’incontro si sono utilizzati tutti i possibili attrezzi del mestiere, dalle discussioni di gruppo ai giochi di simulazione, dal teatro alla danza, dalle lezioni teoriche alla sperimentazione pratica. E si sono affrontati i più svariati temi. La giornata del sabato, dedicata ai ”laboratori” ha infatti offerto una gran varietà di scelta: dalle riflessioni teologiche alla ricerca in ambito politico; dalle questioni sull’informatica e il free software alla tessitura e tintura della lana. E poi laboratori sulla maternità e paternità, la cucina vegetariana (con conseguente cena per un centinaio di persone), l’orto sul balcone, l’autoproduzione di detersivi e prodotti cosmetici, l’andar sui trampoli e fare i giocolieri, l’andar per erbe e imparare ad utilizzarle, il raccontar fiabe e inventare feste, riparare i rubinetti e filtrare l’acqua. La dimensione quotidiana del consumo, del rapporto con le cose e con le persone si è intrecciata con quella più globale. Perché l’interrogarsi sul cosa fare per rendere la propria vita “secondo giustizia” e allo stesso tempo bella e piacevole non può fare a meno – nell’esperienza di Bilanci di Giustizia – di porre questioni globali, politiche, di far riflettere sul come cambiare le strutture, il sistema. “Si tratta del passaggio”, spiega Luca di Pistoia, conduttore del laboratorio sulla politica, “dalla ricerca di una propria “via giusta” alla ricerca del come rendere il mondo più giusto per tutti. Ed è un passaggio difficile e faticoso, come quello simbolico, raccontato nel libro dell’Esodo. Che implica l’attraversamento del Mar Rosso (uscendo cioè dalla schiavitù del consumismo che ci costringe dentro modelli predefiniti che non ci rendono felici), l’accettazione della regola della “manna” (ciascun giorno produrre e consumare solo ciò che è necessario) e l’attraversamento del deserto. Nel deserto – rimanendo nella metafora – il popolo ha stretto un’alleanza, ha cioè deciso insieme di andare verso la Terra Promessa (che rappresenta la quadratura del cerchio: benessere economico, coesione sociale e libertà politica) dove “solo insieme” si può arrivare. Non bisogna cioè lasciarsi tentare” continua Luca con passione “ e cercare di andare avanti da soli. La dimensione politica richiede il coraggio di condividere obiettivi e valori. Il popolo non può essere messo da parte o trasformato miracolosamente. Deve essere condotto, castigato, difeso, educato, e deve essergli data la possibilità di discutere – tutte attività che escludono e superano ogni semplice divisione in “amici” e “nemici”.” Non si dà cioè politica senza partecipazione.

Un laboratorio, tra gli altri ha però avuto un occhio di riguardo. Un titolo lungo: “Il denaro come se la gente contasse qualcosa: percorsi e interrogativi sul rapporto consapevole col denaro”. I 20 partecipanti si sono interrogati su alcune domande “cosa è per me il denaro? Che cosa gli chiedo? Come produco, spendo, risparmio il denaro? Quale rapporto c’è tra lavoro e denaro?”. Raccontando dei risultati del lavoro, nella plenaria di domenica mattina, i partecipanti hanno subito evidenziato come il laboratorio abbia toccato un argomento tabù. “Sebbene talvolta sia una delle nostre maggiori preoccupazioni” raccontava Massimo, “non siamo abituati a parlare del nostro denaro con gli altri, e quindi neppure a rifletterci. Oggi ci siamo domandati quale sia il significato del nostro lavorare, del perché lo facciamo, di quanto abbiamo bisogno di sicurezza e di quanto il denaro la rappresenti. Senza trovare risposte certe e univoche, naturalmente, perché le esperienze sono diverse”. Tuttavia qualcosa si è mosso,  e gli interrogativi si sono rivelati urgenti e significativi.

Neppure la relazione conclusiva dell’esperto, il giornalista – economista Francesco Terreri, sul tema del rapporto tra la finanza e l’etica, ha portato a conclusioni certe ed univoche. Più che altro ha aperto nuove domande e provocazioni. A quali condizioni la finanza può essere etica? Come investire i propri risparmi rispettando criteri di giustizia e sostenibilità? La campagna Bilanci di Giustizia che ha concluso il suo lavoro sull’acqua, ha infatti scelto come tema guida del prossimo anno quello della finanza. “E’ necessario – e molto urgente – ha suggerito Terreri , che le risorse finanziarie disponibili nel mondo vengano spostate. Che si passi dal finanziare persone e imprese che appartengono al Nord ricco (che drena il 95% di tutte le risorse finanziarie, dice la Banca Mondiale, nell’ultimo rapporto sullo sviluppo) al finanziare le persone e le idee imprenditoriali di coloro che sono esclusi dal mercato finanziario, i cosiddetti “non bancabili”. Anche la finanza etica deve porsi questo obiettivo. Perché non è più sufficiente – se pur fondamentale! – richiedere alle banche criteri di trasparenza e voler sapere quali imprese e investimenti i nostri risparmi vanno a finanziare, se vengono utilizzati da imprese che producono armi, sfruttano i propri lavoratori o deturpano l’ambiente, sostenere Banca Etica o le MAG (imprese cooperative che raccolgono risparmio per finanziare l’economia sociale locale). Mentre la finanza etica italiana, che sostiene l’economia sociale e il terzo settore, è infatti in forte crescita e comincia ad essere anche quantitativamente significativa (circa 200 milioni di euro), tanto da diventare un mercato appetibile anche per le banche tradizionali (che costituiscono fondi di investimento etici), il totale dei finanziamenti italiani al Sud del mondo e alla loro economia popolare ammonta a soli 3 milioni di euro: una somma ridicola. Dall’altro lato – insiste Terreri – nel Sud del mondo, le persone e i gruppi non stanno con le mani in mano ad aspettare e, pur subendo questa discriminazione finanziaria (che rappresenta un fallimento del mercato, riconosciuto anche dagli economisti ortodossi), si organizzano con piccole imprese e forme di mutuo credito, talvolta non rispettando, in queste intraprese economiche, i criteri etici che gli italiani vorrebbero. E le esperienze di microcredito vengono criticate perché tendono ad essere troppo commerciali. Si rischia di dimenticare che la grossa ingiustizia a monte sta nella distribuzione delle risorse finanziarie ed è questo divario che va in primo luogo colmato.

Rispetto alle offerte etiche nel panorama italiano, ha commentato il relatore, è significativo vedere come i cosiddetti “fondi etici” proposti dalle banche tradizionali cercano di incontrare le esigenze della clientela e rappresentino uno strumento per i risparmiatori che cominciano a porsi la questione dell’eticità del proprio risparmio, senza essere disposti a rinunciare ad alti rendimenti. Naturalmente questi fondi vanno a incrementare quei mercati finanziari che sostengono le grandi imprese dei mercati del Nord, e seguono la logica speculativa “dell’acquistare a meno per vendere a di più”. Logica che non fa bene neppure al mercato stesso, come dimostrano le crisi finanziarie degli ultimi mesi.

Alla relazione è seguito un interessante dibattito, con domande che spaziavano su tutti i piani : “ma è etico risparmiare?”, si chiede qualcuno. “Come fare con la pensione?” Fa eco qualcun altro. “E se imparassimo a prestarci l’un l’altro i soldi, come le donne africane nei sistemi creditizi della “tontine”?” “Come può il rapporto tra risparmiatori e utilizzatori del risparmio essere basato sulla fiducia, la conoscenza, la relazione umana?” Tante domande aperte, frutto della riflessione sull’esperienza quotidiana e di aspirazioni profonde. Domande aperte per un anno di lavoro.

Curiosamente a Johannesburg, negli stessi giorni, si discuteva degli stessi temi, si lavorava sulla stessa agenda: agricoltura, acqua, sicurezza alimentare, finanza. Anche a Colle don Bosco circolavano preoccupazioni, domande sul futuro del Pianeta, però, tra i bilancisti, con una volontà di cambiamento precisa, a partire dall’esperienza di ognuno. Concreta, concretissima.

Dai bilanci alla politica

Era il tempo dell’economia, e noi abbiamo obbedito diventando compilatori di bilanci, facendo diventare i consumi quotidiani ingranaggi di un sistema alternativo all’economia che uccide.

 Ora è il tempo della politica, ora si tratta di trovare i collegamenti affinché le piccole ruote dentate della nostra economia alternativa si connettano ai poderosi ingranaggi della politica locale, nazionale e internazionale.

 È un passaggio fondamentale se vogliamo ottenere non tanto l’affrancamento individuale quanto una risposta collettiva e globale ai problemi.

 Il grande racconto dell’Esodo può essere ancora una volta il paradigma di questo cammino.

 L’Esodo è una storia di speranze radicali e di impegno terreno, è un paradigma della politica rivoluzionaria, è una storia che ha reso possibile il racconto di altre storie, è una narrazione classica: un inizio, un centro e una conclusione – problema, lotta, soluzione – Egitto, deserto e terra promessa.

 La politica è fatta della stessa pasta: riconosce un problema – un male concreto, intraprende una lotta, giunge ad una soluzione – un successo sempre parziale. E la soluzione non è altro che un luogo migliore in cui vivere.

 L’Egitto è l’oppressione di un gruppo ad opera di un feroce sovrano in una terra straniera.

 Ma l’Egitto è anche un centro di ricchezza e di benessere ed è verosimile che molti Israeliti ammirino i loro oppressori.

 La rabbia e la speranza ci hanno spinti a partire. La prima battaglia è stata contro la rassegnazione e l’abbiamo vinta: siamo convinti che l’Egitto non è tutto il mondo. Abbiamo fatto la nostra pasqua, abbiamo scelto di abbandonare la prigione dorata del consumismo.

 Appena partiti, quando ancora era forte il richiamo violento della felicità edonistica e il sistema economico incalzava con i suoi carri da guerra, ci siamo trovati di fronte al Mar Rosso. Ma abbiamo preso gli scontrini, uno ad uno, abbiamo contato e registrato tutto, e siamo arrivati a fine mese con la scheda dei bilanci compilata.

 Potevamo finalmente guardare indietro con più sicurezza: i vecchi nemici erano sconfitti. Il realismo delle cifre, la concretezza si era sposata con l’immaginazione e si nutrivano a vicenda.

 Inizia così il cammino nel deserto, il lungo cammino verso la terra promessa dove scorre latte e miele: un’economia di sobrietà, la coesione sociale, una politica di giustizia.

 La prima tappa è l’economia: usare i beni, riconoscerne il dono, condividere anziché accaparrare ed accumulare. Come fecero gli Israeliti con la manna: “Ognuno ne prenda quella necessaria per un giorno”. Per imparare che la terra promessa è tanto ricca quanto la casa di schiavitù ma le ricchezze saranno più equamente divise e non saranno causa di corruzione. E colui che accumula priva un altro del necessario. E colui che accumula è guardato con disprezzo come persona che ha smarrito il senso dell’esistenza.

 Abbiamo quindi chiesto alla nostra immaginazione di inventare strategie per consumare meno e per scegliere in base alla qualità sociale e ambientale delle cose. Ci caratterizzano dosi diverse di immaginazione, di idealismo, di coraggio; tutti, però, stiamo assaporando, magari a piccole dosi, il gusto del tempo liberato, il piacere di un passo più leggero, lo stupore di fronte al dono.

 Certo, qualche volta l’idealismo si indebolisce, il coraggio barcolla, l’immaginazione si restringe e l’Egitto finisce per apparire quasi desiderabile. Il cammino nel deserto è accompagnato dalle mormorazioni, dalla tentazione di guardare indietro, dal lamento per la situazione presente che lascia intravedere ancora poco delle promesse future.  Viene da pensare che anche tornare indietro è possibile, che anche il passaggio del mare non è definitivo.

 Accanto alle mormorazioni – la tentazione del ritorno indietro – esiste un altro pericolo: la purga – la tentazione della fuga in avanti. Significa che non siamo ancora popolo, comunità perché ci manca la pazienza e la comprensione del gradualismo e dei tempi diversi con i quali ognuno di noi riesce a entrare nella pedagogia del deserto. Crediamo così di poter accelerare i tempi, senza capire che se ci arriviamo in pochi non è la terra promessa. Assolutizziamo il nemico anziché cercare in noi maggiore perfezione.

 La figura di Mosè è fondamentale: egli è maestro, profeta, legislatore; ma è anche colui che, “infiammato d’amore”, punisce coloro che – per indolenza o volontà contraria – appesantiscono il cammino.

 La pedagogia del deserto a questo punto ci chiama a un passaggio fondamentale; siamo ancora individui e dobbiamo diventare popolo, stiamo lottando per conciliare giustizia e qualità della vita ma sappiamo ancora distogliere lo sguardo dalla carne del fratello che ci chiama.

 Nel racconto dell’Esodo questo passaggio fondamentale è la conclusione di un’alleanza. Solo con l’alleanza gli Israeliti diventano un popolo nel vero senso della parola, un popolo capace di dar forma alla sua storia politica e morale, capace di ubbidienza e resistenza tenace, in grado di marciare avanti e di scivolare all’indietro.

 Dopo la salita al monte sentiamo l’onore e il peso dell’essere cittadini e diventiamo consapevoli che ogni volta che lasciamo fare, ogni volta che diciamo “è uguale”, imbrigliamo il vento della speranza, tradiamo l’attesa e la fiducia di molti.

 L’alleanza è l’invenzione politica del libro dell’Esodo: la condizione per andare avanti sta nell’impegno che ogni persona prende nei confronti di tutte le altre. Siamo uguali, abbiamo pari responsabilità dunque pari diritti.

 L’alleanza significa anche l’impegno reciproco a decidere insieme dove vogliamo andare, quali valori sono imprescindibili, come garantire l’economia di sobrietà e la coesione sociale.

Insieme alla liberazione dalle strutture economiche ingiuste e dall’ubriacatura  di libertà che scaturisce da un’antropologia individualista, ora dobbiamo liberarci da ogni visione ristretta, parziale, sicura delle cose e lanciarci nell’avventura della politica e costruire regole giuste di convivenza.

“L’obbligo del singolo individuo è solo quello di osservare le leggi, o quello di garantire che le leggi siano osservate collettivamente? L’obbligo è di agire con giustizia o di garantire che giustizia sia fatta?”.

 La politica significa essersi liberamente vincolati agli altri, a tutti gli altri, ai loro luoghi e ai loro tempi. Non possiamo più tornare indietro ma neppure fuggire in avanti; se vogliamo avere in cambio la terra promessa, non esistono scorciatoie alla fatica quotidiana di ‘declinare’ la giustizia.

 La terra promessa rappresenta la quadratura del cerchio: benessere economico, coesione sociale, libertà politica. La politica è la strada attraverso cui la rettitudine di ogni persona viene orientata a produrre la maggior dose di bene comune.

 Gli Israeliti attraversarono il Giordano e ben presto si ritrovarono nuovamente in Egitto. Cominciarono così a lamentarsi del presente e ad attendere una messianica liberazione, dimenticando la propria fondamentale responsabilità.

 L’Esodo inizia con un male concreto e finisce con un successo parziale. Per questo esso fornisce la principale alternativa al messianismo, invitando ad una politica moderata e prudente. Il popolo non può essere ucciso o messo da parte o trasformato miracolosamente. Dev’essere condotto, castigato, difeso, educato e deve essergli data la possibilità di discutere – tutte attività che escludono e superano ogni semplice divisione in ‘amici’ e ‘nemici’.

 Ovunque si viva, probabilmente si vive in Egitto; esiste un posto migliore, un mondo più attraente, una terra promessa, la strada che porta alla terra promessa attraversa il deserto. L’unico modo di raggiungerla è unirsi e marciare insieme.

 L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Dt 8,2-20

 intervento di francesco terreri

a colle don bosco

  1. L’etica è una opzione plurale, dunque la stessa finanza si può definire etica da diversi punti di vista. La fotografia del sistema finanziario e dei mercati finanziari su scala mondiale ci pone però con urgenza il problema di scelte eticamente orientate. Tanto più che l’attività finanziaria oggi è diventata estesa, invadente, determinante per gli indirizzi dell’intera economia.

La fotografia più recente della situazione si ricava dai dati pubblicati nel World Development Report 2002 della Banca Mondiale.

Il prodotto lordo mondiale – produzione di beni e servizi – nel 2001 è pari a 31.283 miliardi di dollari. Il credito fornito dal settore bancario – la componente più rilevante delle attività finanziarie – ammonta invece complessivamente a 47.707 miliardi di dollari, a cui va aggiunto il credito internazionale – cioè quello che passa i confini – pari a 11.488 miliardi di dollari. Si noti che è in quest’ultima cifra che si trova il debito estero dei paesi in via di sviluppo pari ad appena (!) 2.500 miliardi di dollari.

Ma il punto chiave è la distribuzione del credito totale mondiale. Sappiamo tutti che “il 20% dell’umanità consuma l’80% delle risorse”. E la finanza? Ecco i dati:

–          Nel mondo ad alto reddito, 53 paesi che vanno dal Nordamerica all’Europa occidentale, a Giappone, Corea, Taiwan, agli Emirati Arabi, ai paradisi fiscali, con 955 milioni di abitanti, 26.710 dollari di reddito pro capite e l’80,3% del reddito mondiale, si concentra il 93,4% del credito totale;

–          Nei paesi a medio reddito, 90 nazioni dall’Estremo Oriente, Cina compresa, all’Est europeo a molti paesi dell’America Latina ad alcuni del Medio Oriente, con 2 miliardi 667 milioni di abitanti, 1.850 dollari di reddito pro capite e il 16,3% del reddito mondiale, arriva il 5,5% del credito globale;

–          Nel mondo a basso reddito, 65 paesi soprattutto africani, ma anche dell’Asia centrale e orientale, dall’India all’Indonesia, alcuni latinoamericani e alcune repubbliche ex sovietiche, compresa l’Ucraina, con 2 miliardi 510 milioni di abitanti, 430 dollari di reddito pro capite e il 3,4% del reddito mondiale, resta l’1,1% del credito totale.

  1. La sperequazione in campo finanziario è dunque vistosamente più accentuata di quella, già notevole, nell’economia reale. È anche meno giustificabile. La contro obiezione alla denuncia sulla disuguaglianza nel consumo – “il Nord consuma, ma produce anche l’80% delle risorse” – non spiega perché le attività economiche nei paesi poveri non dovrebbero essere sostenute dalle banche e dal credito almeno in misura paragonabile al loro valore attuale.

Il motivo più profondo dell’enorme differenza nell’accesso al credito e agli strumenti finanziari è invece un altro. Un economista francese, Jean Paul Fitoussi, l’ha definita “dittatura dei creditori”: significa che i capitali disponibili sono controllati da un numero relativamente limitato di soggetti – tra cui però ci sono anche, sia pur in forma subordinata, molti risparmiatori del Nord del mondo – mentre le opportunità di investimento si moltiplicano. I creditori, cioè coloro che controllano o gestiscono i capitali, possono dunque permettersi di scegliere tra gli investimenti quelli più convenienti e lasciar fuori gli altri.

Oggi il grosso degli investimenti convenienti dal punto di vista delle opportunità di rendimento sono quelli a breve termine nei mercati finanziari. Insomma, la speculazione. Un dato: accanto ai 50 mila miliardi di dollari di operazioni creditizie, sui mercati ci sono (Banca dei Regolamenti Internazionali, dato a fine 2001) 111.115 miliardi di dollari di “prodotti finanziari derivati”, strumenti sofisticati di investimento, dall’architettura complessa, ma che fondamentalmente costituiscono delle scommesse sull’andamento futuro di prezzi, titoli, Borse.

Questa ormai netta prevalenza dei moventi e delle attività speculative nei mercati finanziari, nonostante la crisi degli ultimi tempi, non comporta solo un problema di ingiustizia distributiva, ma anche di correttezza nel mercato. I recenti scandali, il caso Enron, non sono soltanto vicende di dirigenti disonesti che scappano con la cassa, ma soprattutto sono la messa in pratica da parte di grandi aziende di tutti gli ultimi ritrovati finanziari per occultare dati e ridurre la trasparenza.

Anche piccoli risparmiatori sono coinvolti nei mercati della speculazione, soprattutto attraverso nuovi strumenti come i fondi comuni di investimento. In Italia da diversi anni la cosiddetta “raccolta indiretta”, cioè il risparmio che affidiamo alle banche perché ce lo investano nei mercati finanziari, ha superato ed è ormai arrivata ad essere il doppio della “raccolta diretta”, cioè del risparmio depositato nei libretti e conti correnti o, al massimo, investito in un certificato di deposito, in un’obbligazione, in un buono fruttifero.

  1. D’altra parte non è vero che nel mondo impoverito, ai margini del sistema, progetti di investimento non ci siano. Molti tra i poveri, e anche tra i paesi poveri, stanno provando a crescere – anche economicamente – basandosi soprattutto su risorse e capacità interne (altro che aiuti allo sviluppo). Secondo l’Unctad, nel Sud del mondo ci sarebbero circa 500 milioni di microimprese, attività che vanno dalla vendita ambulante alla piccola agricoltura, spesso considerate nulla più che “arte di arrangiarsi” e che invece chiedono di essere prese sul serio come progetti (micro)imprenditoriali e anche di riscatto sociale.

C’è anche un tessuto informale di microbanche, tra cui naturalmente si trovano gli usurai e coloro che guadagnano su posizioni di piccolo monopolio, ma anche sistemi quasi mutualistici di risparmio e credito, fino ad arrivare alle vere e proprie nuove organizzazioni di microcredito.

Non stiamo parlando di imprese o di banche “etiche”: ci sono anche gli artigiani marocchini della concia, la cui attività inquina, o i banchieri ambulanti del Benin, che non sono usurai ma neanche non profit. Tuttavia, quando l’attività economica contribuisce allo sviluppo della comunità locale e l’attività finanziaria non è fine a se stessa ma interessata al buon fine dei crediti, siamo in presenza di “progetti di futuro” che l’apartheid finanziario mondiale trascura completamente.

  1. Chi si è posto il problema di contestare sia l’ingiustizia che la non correttezza degli attuali comportamenti dominanti in campo finanziario è la finanza etica. A livello internazionale e anche in Italia è ormai uscita dalla semplice testimonianza marginale e comincia ad avere una qualche visibilità. Nella finanza etica però ci sono esperienze e proposte diverse, che arrivano a toccare i nodi del problema in modo più o meno profondo.

–          Le proposte, fatte da diverse banche, di devolvere parte dei rendimenti (per i risparmiatori) e delle commissioni (per la banca) di alcuni strumenti finanziari a iniziative in campo sociale e ambientale. Si tratta di finanza caritativa (così l’ha definita l’Associazione Finanza Etica: “Manuale del risparmiatore etico e solidale”, AltrEconomia-Editrice Berti, 2001), di una forma di beneficenza evoluta, ma in sostanza piuttosto superficiale.

–          I fondi comuni di investimento etici (o, più esattamente, socialmente responsabili): investono in Borsa e nei mercati finanziari ma selezionano i titoli da acquistare sulla base di più o meno stringenti criteri etici. Proposti da banche e società di gestione del risparmio, stanno diventando importanti anche in Italia: circa 3 miliardi di euro di risparmio raccolto a fine 2001. Anche i criteri di inclusione e di esclusione dei titoli stanno diventando più precisi rispetto all’approssimazione iniziale. Banca Etica si sta preparando ad entrare in questo mercato con un proprio prodotto (elaborato in partnership con la Banca Popolare di Milano) che dovrebbe essere particolarmente curato sul piano della selezione delle scelte.

I fondi di investimento etici costituiscono senza dubbio una novità importante nei mercati finanziari e possono avvicinare alla finanza etica tanti risparmiatori “inquieti” ma che cercano ancora un qualche rendimento da ottenere. Tuttavia resta un limite di fondo: si investe in titoli di quella fascia relativamente ristretta di imprese e Stati del mondo ricco, in quel mondo ad alto reddito dove già va il 93% del credito totale.

–          La raccolta e l’impiego in banche e altre organizzazioni con una mission eticamente orientata. In Italia, la raccolta in Banca Etica (170 milioni di euro a metà 2002), nelle Mag (complessivamente 6-7 milioni di euro in varie forme), in altre organizzazioni dell’economia sociale, per certi aspetti anche in alcune iniziative prese da banche tradizionali (Cosis/Banca di Roma o Solidea/Casse Rurali Trentine), che costituiscono fondi e risorse dedicate all’economia sociale, al non profit, a progetti di comunità. Qui la proposta tocca nodi importanti della sperequazione nel campo del credito, anche nel Nord del mondo, e può contribuire a quel cambiamento degli stili di vita a cui stiamo lavorando.

–          La finanza dei poveri, microfinanza e microcredito. Non sono molte in Italia le risorse orientate in questo campo: forse, mettendo insieme un po’ tutto, 3 milioni di euro o poco più. C’è anche diffidenza perché non sembra un ambito di finanza etica pura: istituzioni di microcredito (nel mondo sono ormai circa 1.500) troppo “commerciali”, finanziamento a piccoli produttori (i destinatari raggiunti oggi sono oltre 20 milioni) che non necessariamente hanno un profilo sociale o ambientale come ce lo immaginiamo. Ma è l’iniziativa che arriva al nodo principale: l’apartheid nell’accesso al credito e ai capitali, la mobilitazione del nuovo (micro)risparmio dei poveri, segno di questa “voglia di futuro”, e la liberazione del nostro risparmio dal controllo di pochi.

Che si debba lavorarci per accompagnare sempre più il diritto al credito alla sostenibilità sociale e ambientale oltre che economica è certo. La microfinanza in effetti può diventare da finanza dei poveri una finanza per lo sviluppo sostenibile delle comunità povere e delle microimprese dei poveri. Ma oggi, tra investire a breve termine in modo etico tra i ricchi e investire a lungo termine con qualche pecca “politicamente scorretta” tra i poveri, viene il dubbio che sia preferibile quest’ultima scelta.

 Ci sarà una volta

Eccoci alla seconda puntata con le fiabe. Per continuare

questo piacevole appuntamento abbiamo però necessità di ricevere del

materiale: INVIATECI LE VOSTRE FIABE!!!!!!!!

Contiamo su questa “autoproduzione” dei bilancisti!

IL PROFUMO DELLA MERENDA

Mamma, che corsa! Speriamo che la maestra non abbia iniziato la lezione, sennò chi la sente: “Alessandro, di nuovo in ritardo!!”  Non riesco proprio a svegliarmi, la mattina, e quando mi alzo dal letto sarebbe già ora di uscire. Oggi la mamma mi ha infilato un pacchettino di biscotti in mano e ci siamo fiondati in auto … ed è solo lunedi!

Già, è vero, e chi si ricordava … al lunedi ci spostiamo di banco e questa settimana mi toccherà stare vicino a quella ‘barba’ di Filippo: uffa che noia, non ha le figurine da scambiare, non sa giocare con la play-station (credo che non ce l’abbia neppure), non è mai aggiornato sulle vicende dei cartoni. Chissà dove vive quello!! E ho anche dovuto invitarlo alla mia festa…

Fiuh! La lezione sta per cominciare, ma il mio arrivo sembra passare inosservato. Mi siedo come d’accordo vicino a Filippo e … ma che gli è successo? I pantaloni sono inzaccherati di terra, ha una tasca rotta e i capelli sono tutti scarmigliati. Boh! Dopo gli chiederò spiegazioni; certo che cominciamo bene!

Finalmente ecco una pausa dalle lezioni. “Filippo, è vero che io arrivo sempre in ritardo, ma anche tu potevi accorgerti che stavi per metterti i pantaloni sporchi e scuciti…”  ” No, erano puliti stamattina, ma venendo a scuola col mio papà e Giovanni abbiamo attraversato il parco e mio papà ha cominciato a rincorrerci per scherzare, così io mi sono arrampicato su un albero e la tasca si è impigliata in un ramo.” “Chi è Giovanni?” ” E’ un mio amico, abita vicino a casa mia e veniamo a scuola insieme.” “Chissà che strilli tua madre quando si accorge di ‘sto disastro! I pantaloni erano nuovi?” “Nuovi? Beh, sì, non è molto che li ho, prima erano del fratello di Giovanni.” “Sono usati??” “Sì, e anche gloriosi! Con questi pantaloni il fratello di Giovanni ha vinto il torneo di calcetto della scuola. Adesso mamma si inventerà una toppa per nascondere lo strappo e tutto tornerà a posto.”

Sarà che ho trangugiato solo pochi biscotti per colazione, forse ho le allucinazioni, ma cos’è questo profumo di buono, di dolce?  “Dai, mangiamo qualcosa che ho una fame… ancora un po’ e svengo! Ma… allora è dal sacchetto della tua merenda che arriva tutto questo profumo …” Annuso la mia brioche dopo averla scartata ed è assolutamente inodore. “E’ la torta di pane, di solito la facciamo quando avanza il pane del sabato. Ne vuoi assaggiare?”  “Noo … beh, solo qualche briciola, ho già la mia brioche!”  ‘Sto Filippo è proprio un tipo strano, non sapevo che si facessro le torte col pane, a parte che a casa mia usiamo il forno solo per scongelare i surgelati e per riscaldare i piatti già pronti. E poi è buona!

“Senti Alessandro, perchè sabato pomeriggio non vieni a casa mia? Di sabato mio padre fa il pane, così spesso invitiamo qualche amico e ci divertiamo a dargli le forme più strane.” “Fa il pane? E perchè? Non è più comodo comprarlo dal panettiere?”  “Sì, durante la settimana lo compriamo, ma mamma e papà dicono che avere il pane fatto in casa la domenica è un modo per far festa, e poi i miei fratelli ed io ci divertiamo un sacco. Vieni?”  “Ma, non so, io al sabato pomeriggio vado sempre coi miei a fare la spesa in qualche centro commerciale e di solito finisco per accaparrarmi un nuovo videogame… Comunque, verrai alla mia festa? L’hai già comprato il regalo?”  “No, non credo che lo comprerò…”  Eccolo lì, lo sapevo, mi guarda con aria sorniona. Che potevo aspettarmi da uno così; è capace di presentarsi alla festa a mani vuote!  “…ma lo sto già preparando!”  “Tì, non penserai mica di regalarmi una cosa usata, vero?!?”

“Ma no, ma no, vedrai…” La cosa in ogni caso mi incuriosisce.

Oggi è giovedi, il giorno della mia festa. Qui alla ludoteca sono arrivati Luca, poi Matteo, poi Giulio, Martina, Silvia… Ognuno posa il suo pacchetto nell’angolo dei regali. Ah, ecco Filippo! Anche lui ha un pacchetto, sembra un bastone, che diavolo …

L’animatrice ci ha fatto giocare, mangiare la torta e adesso è l’ora di guardare i regali. Gli incarti finiscono senza pietà in un grande sacco nero e le scatole con ogni sorta di giocattoli si accatastano l’una sopra l’altra. Eccolo, ho in mano il misterioso ‘bastone’ … ma è un aquilone! Filippo si lancia nella descrizione di come l’hanno costruito, lui e suo padre, mi stordisce di particolari e di tecniche di volo. “Sì, bravo, e io cosa ne faccio?”  “Ma lo fai volare, no?” “Sì, sul balcone di casa!”  “Ma no, domenica andiamo in gita in montagna; dai, sabato vieni a casa mia a fare il pane, poi dormi da noi e domenica su, a camminare!”  “A camminare ?!? A piedi?”  “Sì, ma è un percorso semplice, lo fa anche mia sorella che ha tre anni meno di noi. Basta avere un paio di pedule, che numero porti?”  “Cosa intendi dire?”  “Che ti procuro un paio di scarpe adatte per domenica …”  “Sì, ‘usate’, magari da qualcuno che è stato con quelle sull’Himalaya. … Comunque devo chiedere il permesso ai miei genitori …”

Non so ancora come la prenderà, Filippo, è così ansioso di ricevere la risposta! Appena entro in classe ha già il punto interrogativo nello sguardo.  Mannaggia, la lezione è già cominciata, gli scrivo un bigliettino. “Ho parlato di noi due e del tuo invito a mamma e papà. Mi hanno dato il permesso ma … non so se è un problema … mi hanno chiesto se domenica in gita possono venire anche loro, vorrebbero proprio conoscere la tua famiglia!”

Laura – Torino

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